Ecuba (Euripide)
Attenzione, questo articolo contiene una tramaEcuba è una tragedia di Euripide di data incerta (probabilmente 425 a.C), ispirata alla figura di Ecuba, moglie di Priamo.
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2 L'opera 3 Musica |
Trama
Prologo
La tragedia inizia in Tracia, sulle rive del Chersoneso Tracico, davanti alla tenda di Agamennone. Dopo la caduta di Troia, le donne della casa reale sono state spartite tra i vincitori come bottino di guerra: Ecuba è divenuta schiava di Ulisse.
L'ombra di Polidoro, figlio di Ecuba, preannuncia le disgrazie che cadranno sulla madre, quando le verrà strappata la figlia Polissena per venire sacrificata sulla tomba di Achille e quando le sarà portato il corpo del figlio stesso, ucciso da Polinestore, alla corte del quale era stato mandato per metterlo al sicuro dagli achei.
Prima parte: il sacrifico di Polissena
La regina esce dalla tenda di Agamennone e confida alle sue ancelle i suoi timori per la sorte dei figli. Nella notte dolorose visioni l'hanno afflitta, ed ella prega gli dei affinché allontanino da lei ogni sventura.
Entra il coro, composto da schiave troiane, annunciante che i suoi timori si stanno avverando.
La figlia Polissena era stata assegnata ad Achille morente, il suo fantasma è apparso chiedendone il sacrificio per placare gli dei e permettere ai venti di divenire favorevoli per il ritorno in patria.
Gli achei hanno preso la decisione di sacrificare la fanciulla. Ecuba esprime il suo strazio in un canto. Alle grida della donna, giunge Polissena, che apprende dal lei la sua sorte.
Polissena non ha parole per sé o per la sua vita spezzata, ma solo parole di conforto per il dolore della madre.
Intanto Neottolemo è impaziente di immolare Polissena. Arriva quindi Ulisse, annunciando il sacrificio, insensibile alla disperazione di Ecuba, pretende Polissena. Ecuba gli ricorda di avergli salvò la vita, tacendo quando si introdusse in Ilio e fu riconosciuto da Elena, ma Ulisse rimane impassibile. Interviene allora Polissena, consolando la madre: meglio la morte che la schiavitù. Ecuba tenta allora di sostituirsi alla figlia o, almeno, di poter morire con lei. Ma le sue parole sono vane e la figlia le viene strappata.
Nello stasimo il coro delle troiane piange le sventure abbattutesi su di esse.
Giunge l'araldo degli achei, Taltibio, e narra a Ecuba e al coro la fine di Polissena. Ha pregato che nessuno la toccasse o la costringesse a subire il colpo, si è aperta le vesti del petto, invitando Neottolemo a colpire: muore per restare libera, per essere libera e regina nell'Ade. Tutto il popolo, venuto per onorare Achille, si è invece esaltato nell'ammirazione del sacrifico di Polissena. Ecuba, orgogliosa della figlia, si accinge a darle sepoltura. Un breve stasimo nel coro, in cui si deplorano le sventure della guerra di Troia, chiude la prima parte.
Seconda parte: la vendetta di Ecuba
Una schiava entra trascinando un cadavere velato, ma non è quello di Polissena, come Ecuba crede da principio, ma quello di Polidoro. Il cadavere è stato rigettato dai flutti del mare sulla riva.
Il re Polinestore, lo aveva accettato alla sua corte solo per cupidigia, in quanto portava con se la gran parte del tesoro di Priamo. Dopo averlo ucciso, Polinestero ne gettò il corpo in mare, e il destino lo ha portato vicino al campo degli achei.
Nel cuore di Ecuba, ora non alberga che un sentimento, la vendetta. Chiede ad Agamennone di aiutarla, ma non ottiene altro che parole di conforto, in quanto il re di Tracia è alleato degli Achei. Resasi conto della situazione, Ecuba gli chiede solo di permettergli la vendetta senza che Agamennone ne sia compromesso, si accontenta di un salvacondotto per una sua ancella, affinché porti un messaggio al re Polinestore e ai suoi figli. Agamennone, sentendosi sicuro, acconsente.
Il coro rievoca lo strazio delle donne troiane nella notte in cui Ilio fu presa.
Entra in scena Polinestore mostrandosi addolorato per la morte di Polissena e, mentendo, assicura Ecuba sulla salute del figlio. A questo punto Ecuba, getta l'esca per il re di Tracia. Informa Polinestore che una parte del tesoro reale è sepolta sotto le rovine di Troia e che sarebbe opportuno se lui e i suoi figli lo mettessero al sicuro.
Polinestore cade nelle trappola, ascolta con attenzione i particolari sul luogo in cui si trova il tesoro, venendo a sapere che la regina ha con se alcuni oggetti necessari alla sua ricerca. Questi si trovano nella sua tenda, dove gli achei non entrano mai. Quindi si dirigono verso la tenda della regina.
Un brevissimo canto del coro ed ecco, che all'interno della tenda, scoppiano grida di dolore atroce.
Polinestore esce dalla tenda brancolando, pazzo di dolore e di rabbia. Ecuba e le sue ancelle, lo hanno accecato e hanno ucciso i suoi due figli.
Grida e chiama aiuto; arriva Agamennone, che finge meraviglia e raccapriccio. Come dinanzi ad un giudice, Polinestore gli racconta l'accaduto, confessando di aver si ucciso Polidoro, ma di averlo fatto con animo amico verso gli achei ed Agamennone. Agamennone lo giudica colpevole e lo ritiene giustamente punito.
Polinestero maledice Ecuba e le predice che sarà trasformata in una cagna, morirà e sarà sotterrata come tale (Dioniso gli ha fatto conoscere l'avvenire). Profetizza anche la fine di Cassandra e di Agamennone, che verranno uccisi da Clitennestra.
Agamennone preferisce sbarazzarsi di Polinestore e lo fa portare su un'isola deserta, abbandonandolo.
Ecuba si allontana, ha ottenuto vendetta e potrà seppellire i suoi figli.
L'opera
Quest'opera ha sempre fatto sorgere critiche, più o meno pesanti, circa la sua unità : esiste in essa una unità drammatica e, soprattutto, una unità di ispirazione poetica?
La prima è convinzione comune che esista, anche se due sono le tragedie di Ecuba, ben distinte fra loro. Nella prima parte appare con animo affranto, quasi rassegnato, mentre nella seconda parte è furentemente selvaggia. È il personaggio di Ecuba, che oltre al nome della tragedia, da continuità al dramma e quindi unità teatrale, strutturale ed esteriore.
La trasformazione di Ecuba appare motivata dagli eventi, in quanto avvenuta di fronte ad una sventura dovuta da chi credeva amico e non dal nemico vincitore in guerra, e quindi più abbietto, tale da far scoppiare la ribellione precedentemente soppressa.
Ma poeticamente, ogni lettore può notare una diversa partecipazione del poeta alle due sventure di Ecuba. Nella prima aderisce completamente alla figura di madre addolorata, anche con una rappresentazione della figlia eroica e soave; nella seconda la "guarda vivere", con distacco ed esatta osservazione psicologica, con il personaggio di Ecuba protagonista di uno scempio barbarico, di fronte a personaggi mediocri (Agamennone) o ripugnanti di crudeltà e di viltà (Polinestore).Musica
Per una rappresentazione ad Atene nel 1927, Emil Riadis compose delle musiche di scena.